Ingresso del Teatro Nuovo "Giovanni da Udine" della scorsa edizione
UDINE – Il Far East Film
Festival di Udine compie 15 anni e, come il Compagno Kim della
pellicola-evento nordcoreana Comrade Kim Goes Flying, comincia a volare.
Anzi: continua a volare. Continua a puntare lo sguardo sul presente e
sul futuro del cinema asiatico offrendo una Competition 57 titoli che
attingono alle migliori produzioni degli ultimi mesi (senza dimenticare 6
corti griffati Fresh Wave Hong Kong, 3 titoli di e con King Hu e
la dedica a Mario O’Hara) e rendendo omaggio all’alfiere mondiale
della cultura coreana: il grandissimo Kim Dong-ho.
Ecco, raccontata in poche
righe, la quindicesima edizione del FEFF. Ecco la finestra che si
spalancherà, dal 19 al 27 aprile prossimi, sul lontano est. Ecco un
festival che riconfermerà, con orgoglio, quello che ha sempre voluto essere:
una festa del cinema. Un punto d’osservazione esclusivo e strategico sulle
tendenze, gli stili e il mercato d’Oriente, nato per impavido azzardo nel 1998
(contando il numero zero della rassegna Hong Kong Film) e diventato una
delle più massicce roccaforti occidentali del cinema asiatico.
Hong Kong, Cina, Giappone,
Corea del Sud, Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore, Taiwan.
Lasciando parlare i numeri: 2 anteprime mondiali, 15 anteprime
internazionali, 19 anteprime europee. Ed entrare al Teatro Nuovo
“Giovanni da Udine” (con i suoi 1.200 posti sempre gremiti) sarà, ancora
una volta, come frequentare una sala di Tokyo, Manila o Seul.
Vivere e morire… a Berlino
Berlino, anni Duemila. Una
città moderna, internazionale, ma imbevuta ancora nei colori di un passato
indelebile, un passato da capitale divisa, sede di sottotrame spionistiche, di
interrogatori, di sparatorie, di prigionie. Una capitale sotto sorveglianza che
trasuda le atmosfere glaciali della Grande Guerra. Seppure il muro non ci sia
più, quei 46 chilometri che dividevano le due Germanie e i cuori dei
tedeschi, sembrano ora essersi trasformati nel confine che divide la Corea del
Sud e la Corea del Nord…
Nella capitale tedesca, un
agente speciale della Corea del Nord sta negoziando un traffico d’armi con
un'organizzazione terrorista araba. A breve anche la CIA, il Mossad e
soprattutto la Corea del Sud saranno implicati nella trama. E inizia una fuga
fino all’ultimo respiro!
Berlino è la città sfondo del
grande ritorno di Ryoo Seung-wan – maestro coreano dell’action,
applaudito a Udine con The Unjus nel 2010 – e The Berlin File è il
titolo del suo ultimo film che aprirà, in anteprima europea, la quindicesima
edizione del FEFF.
Volare a Pyongyang
Se la Berlino di oggi è noir,
la vita al di là del 38° parallelo, nella capitale nordcoreana raccontata da Comrade
Kim Goes Flying, sembra essere sgargiante di vita e di colori accesi. Il
lavoro quotidiano alla miniera di carbone è una fabbrica di sorrisi e di
canzoni popolari. La provincia è bella e gioviale ma è a Pyongyang, nella
capitale, che la nostra eroina, giovane minatrice, coltiverà il suo sogno:
diventare trapezista. Inizierà così la sua ascesa, dal carbone della terra al
cielo del trapezio. Volando...
Rarissimo esempio di
coproduzione internazionale per un’industria, come quella nordcoreana, controllata dallo Stato, il film è
un’esperienza visiva senza precedenti. Nel suo essere una favola (una favola che
nulla, forse, ha a che fare con la vita reale del Paese), è indubbiamente
un’altra prova di dialogo (così come lo è The Berlin File) tra le Coree e il
resto del Mondo…
Un popolo diviso
Quello coreano è l’ultimo
popolo diviso. Da più di mezzo secolo pronto alla guerra, con le sirene degli
allarmi aerei che suonano - per prova, sì, ma suonano - due volte l’anno, e
tutti devono trovare rifugio (come si vede anche in Castaway on the Moon).
Una
situazione di allerta continua, di democrazia sospesa, anche al Sud. National
Security racconta la storia vera di Kim Geun-tae, noto attivista
democratico, ed è il resoconto minuzioso del suo rapimento e delle torture
subite in 22 giorni di prigionia durante il regime di Chun Doo-hwan nel 1985 (a
tre anni di distanza dalle Olimpiadi di Seoul). Per i giovani coreani che
ritrovano – e, in molti casi, apprendono soltanto ora - il significato di quel
sacrificio, consumato in nome della democrazia contro la dittatura militare, il
film, uscito nelle sale lo scorso novembre, ha lasciato un segno difficile da
dimenticare.
Potente, estremo,
disturbante, National Security è
scomodo soprattutto nella scelta frontale di mettere in scena i particolari
delle tecniche di tortura. È un’opera di denuncia e, allo stesso tempo, una
cronaca diretta, senza compromessi, senza pudori del limite assoluto a cui
il sadismo e la volontà di esternazione del potere possono condurre un uomo,
con determinazione, a produrre dolore fisico su un altro uomo.
Presentato in anteprima
mondiale al Festival di Busan lo scorso ottobre, davanti a un pubblico
commosso e straziato, il film di Chung Ji-young usciva nelle sale a
un mese di distanza dalle elezioni politiche che hanno poi decretato la
vittoria alla guida del paese della signora Park Geun-hye, figlia del
Generale Park Chung-hee, presidente/dittatore della Corea nel periodo
precedente a quello raccontato dal film: dal 1963 al 1979.
Nel suo discorso di
insediamento la First Lady coreana ha parlato di una nuova era per la Corea,
un’era fondata su tre elementi: la ripresa economica, la felicità dei cittadini
e la rinascita della cultura. Forse i fantasmi dei precedenti regimi sono
definitivamente finiti… ma solo la memoria, come sembra dire il film, permette
di superare e, soprattutto, perdonare.
Kim Dong-ho, uomo di pace
In questi 15 anni abbiamo
incontrato molti registi, molti attori e molte attrici dal talento e dalla
bellezza ineguagliabili. Abbiamo conosciuto anche i maestri del cinema
contemporaneo e li abbiamo premiati per le loro carriere straordinarie. Da Michael
Hui, il Jerry Lewis d’Oriente, al nostro amatissimo Johnnie To, con
le sue visioni di una Hong Kong nera, più nera della pece, e con i suoi
romantici eroi a mano armata. In questi 15 anni, poi, ci siamo pure imbattuti
in grandi uomini e grandi donne che spesso hanno agito, in nome di un amore
irrefrenabile per il cinema, non in prima linea, ovvero non sul grande schermo,
ma in maniera comunque decisiva e determinante. Uno di questi è Mr. Kim Dong-ho.
Tra i fondatori del Festival
di Busan (cioè la Cannes dell’Estremo Oriente), il signor Kim è stato per
noi un esempio. Un uomo forte che ha vissuto della sua determinazione e con la
sua passione ha reso grande il suo festival e la
cinematografia
di un intero paese: la Corea del Sud. Regista e anche attore, lo storico
fondatore e direttore del Festival di Busan ha diffuso in tutto il mondo il
verbo creativo della sua terra quando ancora era in massima parte sconosciuto
agli occhi occidentali. Quest'azione costante, questo suo girare per il mondo
nelle vesti di ambasciatore, non a caso, ha coinciso con lo straordinario
rinascimento del cinema coreano, dalla fine degli anni Ottanta agli anni
Novanta, poi culminato nella consacrazione internazionale di autentiche
eccellenze (basti pensare ai nomi di Park Chan-hook, Kim Jee-woon e Bong
Joon-ho).
A Kim Dong-ho consegneremo il Premio
alla carriera della quindicesima edizione del Far East Film, il Gelso
d’oro. Per noi è un gesto di rispetto e di riconoscenza. Ma l’idea di
premiare un direttore di un festival vuole anche essere un segnale forte di
resistenza a dimostrare la necessità, come azioni di libertà intellettuale, di
un parlare di cinema e di un vivere di cinema. Kim è un motivo di ispirazione
costante e anche la dimostrazione che i festival e il lavoro di ricerca, anche
oggi tra le mille difficoltà, siano un qualcosa di imprescindibile per la
circolazione delle idee.
Il Gelso d’Oro
Nato dalla collaborazione tra
il Far East Film Festival e Idea Prototipi® (l’azienda di Udine
che unisce la lavorazione del metallo alla tecnologia più avanzata), il Gelso
è il premio ufficiale del Far East Film. Caratteristico del
paesaggio del Friuli Venezia Giulia ma originario dell’Asia, l’albero del gelso
è stato scelto come simbolo dell’incontro tra due culture, quella Occidentale e
quella Orientale, ma anche tra due diversi immaginari.
Da Tokyo a Taipei: il
viaggio dell’edizione 2013
Accanto alla Corea c’è il Giappone
e là, ogni giorno, un ragazzino di 12 anni controlla la vita dei suoi
vicini e si prende cura della sicurezza del caseggiato, dove vivono organizzate
centinaia di famiglie. A raccontarci la straordinaria e, al tempo stesso,
quotidianissima storia di un piccolo grande eroe è Nakamura Yoshihiro in
See You Tomorrow, Everyone. Regista-chiave del cinema giapponese
contemporaneo, Nakamura sarà una delle grandi personalità presenti al
Festival di Udine.
Un Giappone, quello che vedremo
al FEFF, dove abitano tante donne moderne, come in Girls for Keeps, dove
s’incontrano i cuori solitari in trasferta di I Have to buy New Shoes e
dove si agitano adolescenti con gli ormoni in subbuglio come commedia Maruyama,
The Middle Schooler dell’eccentrico sceneggiatore e regista Kudo Kankuro.
Dalla
Cina Continentale, con uno stile epico ed esteticamente impeccabile,
ritorna invece dopo il successo di The City Of Life and Death Lu Chuan,
per raccontarci la nascita della Dinastia Han che governò la Cina duecento anni
prima di Cristo. Un capolavoro carnale e tenebroso che tra Shakespeare e
Kurosawa ha per titolo The Last Supper. Lu Chuan sarà accompagnato a
Udine dalla sua musa: la diva Qin Lan.
Altro ospite del festival sarà
il grande Herman Yau, vecchia conoscenza del pubblico udinese, che
rappresenterà i colori di Hong Kong con uno dei titoli più attesi
dell’intera selezione: Ip Man – The Final Fight, nuova tappa del biopic
sul grande maestro di Bruce Lee.
Il viaggio del Far East Film si
sposterà poi a Taipei (per la prima volta sono 5 i titoli di Taiwan presenti
nella selezione), in Malesia (presente con un unico film), nelle Filippine
(4 titoli) e in Thailandia (5 titoli), dove incontreremo, tra gli
altri, il bizzarro messia tossico del pulp horror Countdown!
King Hu, tra visioni
cinematografiche e parola scritta
La fama di King Hu travalica,
ovviamente, i confini orientali. Il nome dell’autore di A Touch of Zen e
di tanti altri capolavori è ben noto anche in Occidente, almeno presso
tutti coloro che amano e frequentano il cinema asiatico. A tal proposito ci
piace ricordare che, già nel 1998, la rassegna Hong Kong Film (prima incursione
del Centro Espressioni Cinematografiche di Udine nel territorio
orientale) presentò in retrospettiva Dragon Inn.
Però in Occidente – ne parla lo
stesso King Hu – gli spettatori e i cinefili tendono a guardare all’opera del
grande regista cinese più in relazione allo stile cinematografico e alla
costruzione visiva che in rapporto alla storia e alla cultura classica cinese,
della quale essa si nutre. In generale, il grande pubblico occidentale si è
sempre trovato nella condizione di chi vede i film dei maestri e dei semplici
artigiani del cinema storico cinese apprezzandone gli aspetti formali e quelli
narrativi immediati, ma ignorandone il background culturale; dandone quindi una
lettura quanto meno limitativa.
Il ponte culturale che
congiunga il grande patrimonio culturale orientale con quello occidentale è un
luminoso progetto ancora in costruzione. E noi del Far East Film Festival siamo
fieri di portare la nostra pietra a questo progetto con l’insieme della nostra
attività e con la pubblicazione - la prima in inglese e in italiano - degli
scritti di King Hu, dalla quale emergono vivacemente la sua vivacità
culturale, la sua ricchezza di stimoli intellettuali, la riflessione teorica e
l’attenzione storica sottese ai suoi film.
Questa raccolta di scritti,
lungo progetto del curatore Roger Garcia, ci restituisce un King Hu
inedito e finalmente completo rispetto all’immagine che ne avevamo in
Occidente. E, quindi, anche i suoi meravigliosi film assumono ai
nostri occhi una nuova luce. Questo, probabilmente, è il più grande evento
della quindicesima edizione del Far East Film.
15 anni di FEFF
Più un festival invecchia,
più scopre la sua necessità. Smette
di essere solo un evento e diventa, a tutti gli effetti, un avamposto
culturale. Dopo 15 anni, la percezione del lontano Oriente non è cambiata
molto dalla prima edizione: resta lontano. Si guarda costantemente alla Cina
aspettando una occidentalizzazione dei suoi costumi. Si interpretano i movimenti
sociali aspettando l’arrivo dei sindacati. Continuiamo a decifrare quel mondo
usando solo i nostri strumenti. 15 anni sono pochi per cambiamenti che possono
avvenire solo attraverso generazioni. Perché anche se vediamo il mondo cambiare
velocemente, noi restiamo ancorati al nostro immaginario.
Nell’arco del tempo il Far East
Film ha lavorato su questo concetto, cercando di allargare la sua vita:
ha portato alcuni film in distribuzione nelle sale cinematografiche, ha
stimolato la nascita di rassegne televisive, ha costruito la sua
collana home video, ed ora avrà il suo debutto sul web. Dopo
quindici anni almeno esiste, nel senso che è conosciuto, il cinema orientale
anche in Italia e in Europa. La maggior parte dei film che trovano
visibilità in Europa sono passati al Far East Film. Si è creato un
pubblico. Il lontano Oriente resta lontano, d’accordo, ma per i più giovani un
po’ meno.
Al suo quindicesimo
anniversario, il festival di Udine ha, ora più che mai, riflettuto sul senso e
sul significato di una proposta che non vuole essere d’elite, autoreferenziale,
prevedibile, mutuabile. Spogliandosi di tutto e ritornando alle origini, dopo
15 anni, il Far East Film è sempre e soltanto espressione di una stessa
esigenza e di una stessa urgenza: quella “fame di mondo” che certo non
si è mai placata. Anzi: è stata alimentata proprio dalla continua
frequentazione con l’Oriente.
Ufficio Stampa/Udine Far
East Film 15
Gianmatteo Pellizzari &
Ippolita Nigris Cosattini
Centro Espressioni
Cinematografiche
Via Villalta, 24 - 33100 Udine
tel. 0432/299545 - fax. 0432/229815
feff@cecudine.org
- www.fareastfilm.com
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