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giovedì 13 settembre 2012

Pietà – La comprensione di una madre nel dolore del capitalismo

USCITA CINEMA: 14/09/2012
GENERE: Drammatico
REGIA: Kim Ki-duk
SCENEGGIATURA: Kim Ki-duk
ATTORI: Jung-Jin Lee, Choi Min-Soo, Gang Eun-jin, Jo Jae-ryong, Gwon Se-in.

DISTRIBUZIONE: Good Films
PAESE: Corea del Sud 2012
DURATA: 104 Min
FORMATO: Colore 



Leone d'Oro come miglior film al Festival di Venezia 2012




Trama:

Al soldo di un potente strozzino, Gang-do è un uomo crudele e violento che si occupa di recupero crediti e che non esita a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di avere i soldi che gli son dovuti. Un giorno, all'improvvisio,una donna gli si para di fronte, sostenendo di essere sua madre e chiedendogli perdono per l'averlo abbandonato. Dapprima sospettoso, l'uomo si convincerà della sincerità della donna: ma questa porta con sé un grande e doloroso segreto.
 

Commento:

L’eterno secondo nei più importanti festival cinematografici (Leone e Orso d’argento a Venezia  2005 e Berlino 2004) ha ottenuto finalmente gli apprezzamenti, della giuria del Festival di Venezia 2012. Una vittoria che dal mio punto di vista risarcisce in modo più che sufficiente l’importante carriera artistica prodotta e sviluppata  fino a questo momento da Kim Ki-duk.


Personalmente non reputo “Pietà” il suo miglior lavoro e per dirla tutta non ho ancora visto gli altri autorevoli lavori presenti all’ultimo festival nostrano. Resta tuttavia un lavoro forte, ambizioso, deciso che non scende a patti con lo spettatore. E’ tornata la sua genuina e cinica ispirazione.


In una sala incredibilmente quasi al completo per uno spettacolo pomeridiano (ore 16,15) di un caldissimo mercoledì romano di metà settembre, prendono posto in sala spettatori di ogni età a dimostrazione di quanto un premio possa incredibilmente incendiare le fantasie e le aspettative del pubblico. Da tempo immemore non vedevo una sala così piena per un film asiatico. Il religioso silenzio dei presenti accoglie l’inizio della pellicola. Già dai primi minuti ci si può rendere conto che non ci saranno peli sulla lingua. L’inizio è quanto di più forte uno spettatore medio (o comunque non avvezzo al cinema asiatico) possa quanto meno immaginare. Dopo appena 20 minuti un suicidio, una masturbazione, sangue e percosse varie, ci perdiamo così prematuramente per strada qualche spettatore già scioccato dalla violenza e cattiveria, in realtà solo accennata (non si vede quasi nulla), dei primi attimi di pellicola. Il più eclatante saluterà la platea con un “Buonanotte a tutti!".

Il regista coreano non è abituato a scendere a patti con il politically correct . Analizza con il suo inconfondibile stile il tema della vendetta prima ancora della pietà stessa. Autentica senza colpo ferire l’importanza delle relazioni umane spazzate via dal capitalismo contemporaneo. La  piaga del debito pubblico, l’espandersi copioso della sconcertante crisi economica mondiale, muove le fila di un film politicamente scorretto, forte, brutalmente reale. Mostra l’uso improprio e perverso del denaro, con la conseguente rovina e l’appiattimento dei più reali valori e sentimenti. I protagonisti si interrogano sul effettivo valore della vita in un percorso che simbolicamente potremo definire una via dolorosa lecita per riacquistare determinate qualità smarrite. C’è un reale recupero di sentimenti, valori necessari alla propria esistenza, plasmati sull’essenza stessa di essere ancora vivi.  


L’abbraccio di una donna (una madre) offre simbolicamente l’amore nei confronti dell’umanità, il proteggere e comprendere la diversità e i sentimenti del prossimo. Una Maria moderna che come la locandina originale riprende chiaramente e metaforicamente il capolavoro di Michelangelo ben più direttamente del solo titolo. Abbiamo bisogno di comprendere il dolore del prossimo, cambiando prima di tutto il modo in cui ci rapportiamo nei confronti del denaro. Un ipotetica tragedia greca o romana moderna.


Tecnicamente parlando Kim Ki-duk non tradisce il suo stile, riprende in parte il volto minimalista più crudo e sporco dei suoi primi lavori. Il ritmo della narrazione anche se compassato non risulta mai essere troppo lento presentando una storia lineare che prende quota e forma in modo diretto senza troppi fraintendimenti. Ogni tanto c’è qualche forzatura sessuale di troppo che anche se funzionale alla tragedia e alla drammaticità in atto risulta comunque una esagerazione, un atto eccessivo di sicurezza da parte dell’autore. Forzature che non offrono nulla di più alla storia ma anzi sfilacciano troppo una scheggiatura già di per se non perfetta anche se scorrevole e funzionale. Bravi gli attori protagonisti militarmente fermo Lee Jung Jin, drammaticamente convincente Jo Min Soo. Fotografia fredda e glaciale come la desolante ambientazione.


Una belva libera di scorazzare e spezzare le vite di commercianti disperati stretti dalla morsa di una crisi perversa. Un uomo privo di sentimenti e pietà, vittima di un amore mai ricevuto. Una bestia che riceve l’amore mai ospitato può cambiare la sua pelle ruvida?? Cambierà nel dolore il suo modo di vivere??  Siamo al cospetto di un percorso necessario, rapporti personali in rovina. Un film che non sarà facile dimenticare.


Pro. 
Fotografia fredda e glaciale come la desolante ambientazione.
Ottime interpretazioni.
Un grande ritorno.

Contro. 

Forzature evitabili.
Qualche eccessivo slancio di fiducia nei propri mezzi.








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